codice della crisi di impresa e dell’insolvenza d.legs 83/2022 -ENTRATA IN VIGORE IL 16 LUGLIO 2022 –

codice della crisi di impresa e dell’insolvenza d.legs 83/2022 -ENTRATA IN VIGORE IL 16 LUGLIO 2022 –

consulenza contrattuale

Non tutti sanno che il 16 Luglio 2022 entra in vigore il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza………

VEDIAMO INTANTO UN PO’ DI PROBLEMI CHE POTREBBERO INSORGERE

Gli artt. 329 e 330 del DLgs. 14/2019 (Codice della crisi di impresa) disciplinano le figure della c.d. “bancarotta impropria” o “bancarotta societaria”, rispettivamente fraudolenta o semplice.
Con tali norme, il legislatore ha sancito un’estensione dell’ambito di applicazione degli artt. 322 e 323 dello stesso Codice, dedicati alle condotte poste in essere dall’imprenditore in liquidazione giudiziale, a condotte ascrivibili agli organi di amministrazione e controllo degli enti costituiti in forma societaria.

Riforma della crisi di impresa

Il DLgs. 14/2019 ha modificato la collocazione sistematica di tali fattispecie e ha sostituito il termine “fallimento” con il termine “liquidazione giudiziale” oppure con il termine “dissesto“.
Va precisato che questa riforma non incide sul principio di continuità normativa, affermato dall’art. 2 della legge delega 155/2017 (“ferma restando la continuità delle fattispecie criminose”), alla luce del quale si può escludere che la semplice modifica letterale di cui si è detto (da fallimento a liquidazione giudiziale) possa dar luogo ad un fenomeno di abrogazione.
Non possono, tuttavia, escludersi degli effetti “indiretti” con particolare riguardo alle condotte tipiche della bancarotta patrimoniale (ad esempio, con riferimento alla nozione di “dissipazione”) e alla responsabilità dei soggetti attivi nella bancarotta societaria, stante il ruolo attribuito dal DLgs. 14/2019 ad amministratori e sindaci (art. 14 del DLgs. 14/2019 e nuovo art. 2086 c.c.).

Bancarotta fraudolenta societaria

All’art. 329 viene, così, previsto che le pene stabilite dall’art. 322 si applicano altresì “agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo”.

Reati societari e operazioni dolose

Il comma 2 dell’art. 329 prevede due ulteriori figure delittuose, punite anch’esse con la reclusione da tre a dieci anni, allorché i predetti soggetti:

  • abbiano cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 26212622262626272628262926322633 e 2634 c.c. (reati societari);
  • abbiano cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società (nel RD 267/42 si parlava di “fallimento”).

In particolare le “operazioni dolose” possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria dell’impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa.
Esse attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa.
Ad esempio, sono state ritenute tali: la condotta di un amministratore che abbia omesso il versamento delle imposte dovute, per poi procedere alla distribuzione di utili (Cass. pen. 49210/2017); le condotte di autofinanziamento mediante sistematico ricorso all’omissione del pagamento di imposte e contributi (Cass. pen. 633/2018 e Cass. pen. 24752/2018); la duplicazione delle ragioni di credito per ottenere plurimi finanziamenti (Cass. pen. 50081/2017).

Bancarotta semplice societaria

L’art. 224, a sua volta, richiama la norma dedicata alla bancarotta semplice (art. 217), applicabile agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, che:

  • hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nell’art. 217;
  • hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.

Amministratori

L’amministratore è penalmente responsabile sia in via diretta, sia per omesso impedimento (art. 40 co. 2 c.p.) del fallimento intervenuto a seguito di una delle condotte descritte negli artt. 216 e 217 del RD 267/1942.

Amministratori di fatto

La giurisprudenza è costante nel riconoscere la rilevanza penale anche delle condotte poste in essere dall’amministratore di fatto. Viene, infatti, riconosciuto quale principio generale – applicabile anche ai reati fallimentari, sebbene previsto solo in ambito di illeciti societari – quanto previsto dall’art. 2639 c.c. in tema di estensione delle qualifiche soggettive (cfr., tra le altre, Cass. pen. 6199/2016 e 1106/2016).

Amministratori senza deleghe

Rispetto agli amministratori privi di delega, la giurisprudenza distingue i casi in cui costui rimanga indifferente dinanzi ad un “segnale di allarme”, trascurando l’interesse dei creditori o il destino stesso della società, dai casi in cui egli dimostri una colpevole – ma non dolosa – superficialità rispetto agli obblighi di controllo su di lui  gravanti,ad esempio, accontentandosi di informazioni insufficienti su un’operazione che gli viene sottoposta per l’approvazione senza che valutare con cura le conseguenze che ne potrebbero derivare. Solo nel primo caso l’amministratore non operativo potrà essere chiamato a rispondere del reato di bancarotta, in forza dell’accettazione del rischio propria del dolo eventuale (Cass. pen. 23000/2013).

Sindaci

Rispetto alla possibile responsabilità dei sindaci per i reati di bancarotta vanno richiamati gli artt. 2403 e 2403-bis c.c., che descrivono i poteri conferiti dalla legge al collegio sindacale, nonché quelle norme che delineano gli strumenti a disposizione per scongiurare il prodursi di eventi pregiudizievoli per la società (artt. 2406, 2409, 2446, 2484, 2447 e 2482-ter c.c. ).
Tra l’altro gli artt. 223 e 224 del RD 267/1941 fanno, infatti, riferimento anche alle condotte di “aver cagionato” oppure di “aver concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.
In relazione alla responsabilità concorsuale omissiva dei sindaci va, comunque, tenuto presente che:

  • tale responsabilità è correlata al mancato esercizio di obblighi che, non esauribili in una mera verifica formale, impongono il riscontro della rappresentazione contabile con la realtà dei fatti gestionale (Cass. pen. 21913/2018);
  • rilevano, in particolare, i c.d. “segnali d’allarme”, intesi come momenti rivelatori, con qualche grado di congruenza, secondo massime di esperienza o criteri di valutazione professionale, del pericolo dell’evento (Cass. pen. 23000/2013 e 21657/2018);
  • occorre, peraltro, la concreta percezione del “segnale di allarme”, non già la mera “conoscibilità” (Cass. pen. 42519/2012).

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, in giurisprudenza si registra una tendenza all’applicazione del “dolo eventuale” che equipara alla volizione dell’evento la semplice accettazione del rischio che lo stesso si verifichi, a seguito di una propria condotta imprudente o negligente (cfr., tra le altre, Cass. pen.   42046/2017 e Cass. pen. 18517/2018).

 

 

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